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eCommerce: Amazon sì, Amazon no, Amazon gnamme

eCommerce: Amazon sì, Amazon no, Amazon gnamme

C’è un argomento, più che una domanda, che regna imperterrito in ogni chiacchierata sul futuro dell’eCommerce. Non tanto con i clienti – che prediligono domande pratiche e dirette, concentrate sulla quotidianità – ma negli scambi tra chi ha un eCommerce o si interroga (ancora?!) sulle opportunità del digital e chi di lavoro cerca di aiutare le aziende a vendere di più e meglio. Per una piccola ansia recondita si cerca il conforto di un’opinione, sperando di declassare “la cosa” da nuvola fantozziana a mal comune mezzo gaudio. Parlo ovviamente di Amazon: funziona? Ha senso affiancarlo all’eCommerce? O meglio usare solo il marketplace?

Al posto del solito articolo formativo vorrei usare oggi questo spazio per una riflessione a voce alta, senza giusto e senza sbagliato. Non parlerei nemmeno di “vision”, ecco, un po’ alla Black Mirror… ma per l’eCommerce: un articolo dichiaratamente delirante e ricchissimo di parentesi, da leggere solo dopo il caffè 🙂

Infatti, anche solo pensare che Amazon possa andare verso il declino non può che strappare un sorriso ai più, ma la storia ci insegna che è già tutto successo, sia online (Altavista o Flickr, persino Facebook è preoccupata dell’attuale trend negativo di utilizzo e iscrizione, sopratutto tra i più giovani cioè il web del futuro) che offline (uno su tutti Blockbuster che non ha saputo anzi voluto innovare, ma anche Kodak e molti altri ex-leader).

Lo scenario attuale

Tutti gli eCommerce si ispirano ad Amazon. In tutte le slide di marketing c’è Amazon. Ma forse non è proprio corretto… andiamo un po’ più a fondo e vediamo: dove fa i soldi Amazon? Da cosa guadagna? Ecco un’overview super sintetica del bilancio annuale (fonte Sole24Ore):

  • 45 miliardi da eCommerce e servizi correlati (vendite online retail, vendite online di prodotti a marchio Amazon, vendite online di terze parti e vendite offline nelle catene fisiche acquisite. Il dato è la somma di Nord America + tutto l’estero).
  • 5 miliardi da Cloud e servizi correlati.

Visto così tutto regolare, ma è bene sapere che la redditività del primo è positiva per pochissimo (in Nord America un leggero attivo, mentre all’estero in passivo, semplificando con una somma algebrica siamo appena sopra lo zero, in proporzione sui numeri iniziali stiamo parlando di circa 1,17%) mentre l’utile operativo del Cloud è di 1,4 miliardi ovvero 25,7% circa. In pratica Amazon non guadagna dall’eCommerce dove con buone probabilità è, alla fine dei conti, in perdita (altissimi volumi, bassissimo utile), ma vive su altri servizi.

Amazon ha il 34% del mercato Cloud (l’approccio del presente e del futuro), davanti a mostri sacri come Microsoft 11%, IBM 8% e Google 5%, tanto per dire, anche se questo è un ambito che ai fini di questo post ci interessa poco. Ciò che conta nel nostro ragionamento è che con l’eCommerce Amazon sembra a stento in pareggio. Sebbene si finanzi in termini di servizio e qualità sui merchant e nonostante le ricerche online più remunerative, ovvero quelle di prodotto (da acquistare), partano ormai più da Amazon che da un motore di ricerca. Inquietante o sagace? Voglio dire, se non ce la fa Amazon a reggersi con l’eCommerce… chi può farcela? O ancora, vista dall’altra parte, la strategia di un’azienda importante è quella di investire tanto senza necessariamente avere ritorni diretti e immediati, differenziare moltissimo e fidelizzare, per sostenersi facendo soldi da un’altra parte (che è anche ciò che dico ai corsi: almeno per il primo anno di eCommerce devi avere risorse per vivere diversamente).

La parola d’ordine sembra essere “differenziare”, vediamo quindi come fa Amazon e qual è il suo ecosistema:

B2C | servizi attivi in Italia

  • prodotti Basic (a marchio Amazon)
  • Dash Button (per l’acquisto senza passare da sito o da smartphone)
  • Warehouse Deal (prodotti usati)
  • Locker (per il ritiro a qualsiasi ora e con la massima riservatezza)
  • Vine (recensioni in cambio di prodotti… se vi siete scandalizzati per il sushi in cambio di post su instagram, questo cos’è?)
  • Echo (e tutti i relativi problemi privacy, dati, profilazione ecc.)
  • Subscribe & Save (abbonamento a prodotti consumabili e ad acquisto ciclico)
  • Prime e i servizi associati come video, spazio, Prime Now per la consegna in giornata

E molto altro, oltre servizi ancora presenti solo all’estero come Home Services (tipo Preventivi.it), negozi offline ecc.

B2B | servizi attivi in Italia

  • Marketplace (per vendere ai visitatori di Amazon)
  • Handmade (vendere oggetti realizzati a mano da artigiani)
  • Logistica (stockaggio, spedizione e gestione)
  • Cloud (tutta la parte sistemistica/IT)
  • Pay (accettare i pagamenti con un login)
  • Business Selection (sconti su ingrosso)

E anche in questo caso altri settori già attivi all’estero come Restaurant (consegna a domicilio) ecc.

Le valutazioni, i fatti e le paure

Vi ricordate quando fecero capolino i primi centri commerciali in Italia? A memoria tutti i negozianti di paese avevano le stesse paure che oggi hanno i proprietari di eCommerce. Certo, è vero che molti negozietti hanno chiuso, ma è anche vero che alcuni sono ancora attivi e anzi funzionano benone. Ora come ora non aprirei mai un’attività online per vedere qualcosa delle categorie merceologiche più attive su Amazon, a meno di non avere qualche vantaggio competitivo reale e concreto. Invece aprirei uno shop dove sono convinto (e ho verificato sul mercato) che sia più sensato acquistare da me e che io abbia le risorse per farlo sapere a un certo numero di persone potenzialmente interessate. Quindi su cosa si può effettivamente lavorare?

Continuiamo ad analizzare il modello di Amazon per l’eCommerce: prezzi bassi, profondità di gamma, consegna rapida. Su questi temi non ha senso nemmeno provare a competere, Amazon ha budget e lavora praticamente in perdita (cfr. dati qui sopra) oltre che finanzia la qualità eccelsa del servizio sulle terze parti (cfr. contratti per il marketplace, da cui proviene una gran parte degli ordini). Forse si potrebbe tentare la profondità di gamma su una categoria merceologica, questo sì. Ma a parte il singolo caso, ha senso avvicinarsi alla soglia teorica che non denota differenze a livello competitivo, mi spiego con un esempio banale: se una spedizione costasse 7 euro da una parte e 6 euro su un altro sito non sarà certo l’ago della bilancia nella scelta.
Insomma è indispensabile poter offrire almeno quello che dalle persone è considerato oggigiorno il minimo sindacale. Se non è possibile arrivare a questo allora le opzioni sono solo due: 1) lasciar perdere 2) avere caratteristiche così uniche e vantaggiose da far passare in secondo piano quelle negative rispetto la media di mercato. Mi spiego con un altro esempio banale: conosco un sito di accessori per ricamo e hobbistica nel quale si comprano di frequente perline da 3 euro pagando 8 euro di spedizione. Questo comportamento può sembrare insensato ai più, ma non a chi ha bisogno di un prodotto specifico che non è possibile reperire diversamente (chissà magari il merchant, in questo caso, guadagna anche con un markup sulla spedizione).

Torniamo a noi. Quali sono i vantaggi secondari di Amazon: tantissimo pubblico, semplicità di acquisto, gestione problemi a vantaggio del cliente. E – guarda caso – cosa manca a un eCommerce appena rilasciato? L’audience, il pubblico, gli ordini. E cosa frena le persone a comprare da un nuovo sito? La sicurezza, la difficoltà di una nuova interfaccia, le lungaggini e il timore che se qualcosa va male si rimanga fregati perché nella pagina legal (che non legge nessuno) c’è scritto chissà cosa.
In termini commerciali e di marketing (ovvero l’impegno maggiore che un eCommerce deve sopportare dopo il prodotto) tutto questo costa molto e costa più di qualche anno fa. Per tale ragione (e anche per non investire in piattaforme e personale specializzato in digital) molti merchant provano solo ad aprire un account su Amazon e fare eCommerce così. In fondo stanno alimentando un circolo vizioso, e denotano una vision un po’ limitata: le aziende entrano su Amazon, ma nessuna ama questo fornitore e tutte – tutte, sì! – lamentano delle condizioni soffocanti e temono per il futuro. Ma ci entrano perché non hanno un modello di business o un approccio commerciale strutturato, ed evitano di investire risorse per fare da soli. Le aziende si lamentano di un 15% che Amazon chiede (oltre ad altri costi secondari, certo) non pensando che in fondo è un CPA, un Costo Per Azione, una vendita a performance… cioè a risultato e che magari nel web potresti spendere di più facendo da solo. In fondo su Amazon c’è metà dell’audience che cerca un prodotto e l’altra metà (che invece cerca prodotti su Google) ha per il 25% circa un AdBlocker installato (quindi non vede tutte le pubblicità) e per il 33% circa dichiara di aver cliccato erroneamente su un annuncio. Poi ci sono le cavallette e l’apocalisse, ovvio! 😀

Ho lavorato con un cliente che in 6 mesi su Amazon (vendendo solo un brand!) è riuscito a raggiungere il fatturato dell’eCommerce che era attivo da 2 anni, poi pian piano ha dedicato meno risorse e tempo allo shop (meno SEO, PPC, schede inedite ecc.) e il negozio ha preso una spirale negativa. Su Amazon è importante anche indovinare il marchio/prodotto giusto per il momento (magari pubblicizzato dal produttore sui canali offline), in questo caso si possono fare rapidamente grandi numeri che con lo shop è più difficile replicare, quantomeno nello stesso tempo. Occorre però un prodotto generalista e con alta marginalità, insomma bisogna fare i volumi per sopravvivere, oliare i processi e ridurre i costi interni guadagnando su tutto questo altrimenti il gioco (a conti fatti) non vale più la candela.

Infine pochi poi considerano il fatto che Amazon è un fantastico generatore di ordini ma un pessimo generatore di clienti. E’ come avere un agente commerciale che vende per tuo conto, ma che contrattualmente non ti permette di parlare con i clienti (che rimangono suoi) né di vendergli altri prodotti (se non passando tramite lui). Queste sono valutazioni importanti da fare, sopratutto sulla base di un business che deve essere lungimirante in relazione al prodotto: vendo lavatrici che si acquistano ogni 10 anni? Forse nessun problema. Vendo consumabili o vivo sul riordino? Opportunità persa.

Cosa fare?

Sì, è vero, in questo articolo parlo un po’ a favore di Amazon e un po’ contro: questo è infatti il mio parere oggi, perché non credo esista un Amazon sì e un Amazon no. Si tratta di un canale di vendita come tanti altri, con i suoi pro e i suoi contro, occorre valutarlo con distacco e pragmatismo nulla più, il rapporto tra costi e benefici dovrebbe muovere ogni scelta.

In futuro immagino che il potere di Amazon sul comparto eCommerce crescerà ancora, ma credo anche si svilupperanno nuovi approcci e modelli come succede oggi nell’ambito pubblicitario. Dico sempre che per 1 eCommerce che funziona sono necessari 9 eCommerce che non funzionano, è una semplice valutazione matematica (la torta è quella, se tutti andassero bene nessuno sarebbe sostenibile) riportabile anche per il tema Amazon: non può funzionare per tutti, la buybox è quella. L’unica soluzione è che l’audience aumenti, cosa che sta succedendo proprio in questi anni, in particolare in Italia dove siamo molto indietro (quindi una buona opportunità per chi fa eCommerce) e dove abbiamo un numero di smartphone spaventoso che ha permesso l’accesso a internet anche a quei target che non l’avrebbero mai fatto (per esempio le fasce di età più alta). Pensate un po’ al comportamento dei top spender di Amazon, attraverso cosa comprano? L’app. E i servizi ad acquisto ricorsivo (es. Prime now per la spesa quotidiana) dove vengono veicolati? Ancora l’app 🙂 nulla è lasciato al caso. Tuttavia da Amazon bisogna solo imparare l’approccio… quasi nulla è replicabile e può funzionare in un’altra realtà molto più piccola. Personalmente compro su Amazon, e forse in futuro lo farò anche di più, ma quando cerco qualcosa di particolare non mi rivolgo ad Amazon come primo canale. Cerco altrove e poi una volta trovato guardo se c’è anche su Amazon. L’intento fa partire la ricerca dove c’è associazione, non sempre è verso Amazon. Dunque la sfida potrebbe essere anche questa: garantire una differenza così forte che non mi stimoli a verificare anche presso il mio comodissimo fornitore di fiducia. Oppure essere presente anche lì, ma solo come vetrina, e magari con una politica di prezzo differente.

A mio avviso Amazon può (a volte deve) essere parte di un mix, quasi mai un approccio unico… pensate ad Amazon stessa: chiude forse l’international perché in perdita? Pensate a una campagna grande e complessa: si ferma forse la display perché non rende direttamente? Fa tutto parte di un più ampio sistema di vendita, dove ogni elemento contribuisce al successo complessivo: l’acquisto (lo vedete da Analytics) raramente si conclude al primo colpo e spesso passiamo da un touchpoint all’altro senza nemmeno accorgercene. Ecco perché per fare eCommerce servono spesso risorse importanti, la cultura del digital in Italia ha veicolato per anni l’economicità del mezzo, sbagliando. L’equazione investo X = ottengo Y è fuorviante, in agenzia lo vedo, il merchant crede che ci sia linearità tra una campagna e un ritorno diretto e immediato, purtroppo (e per fortuna, cfr. discorso poco sopra) non è quasi mai così. Occorre sviluppare un po’ anche la cultura d’impresa, il concetto di rischio imprenditoriale e di investimento: un forecast o una stima non sono garanzia di risultato. E tanta, tantissima flessibilità, umiltà e capacità di cambiare rapidamente per reagire a una situazione, un comportamento, un dato.

Ci sono clienti che “odiano” Amazon per principio e non vogliono nemmeno provarlo, altri dicono che costa troppo e non permettono di verificare scientificamente se il rapporto costi/benefici volge al positivo (magari anche solo Amazon Pay, se porta più conclusioni di ordine sullo shop proprietario) e certo ci sono anche quelli che vendono benissimo su Amazon e vogliono addirittura chiudere l’eCommerce concentrandosi solo sul marketplace, nonché gli aspiranti merchant spaventati e dubbiosi su quale strada intraprendere. Un mondo.

Io credo che l’approccio migliore sia proprio questo: (analizzare l’oggi e) differenziare, (anticipare i trend e) innovare, (pensare al domani e) investire, quindi (non fermarsi mai per) evolvere: questo è fare impresa. non c’è altra strada. E a guardar bene non è forse Amazon quel fanalino che vediamo all’orizzonte?

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